Soluzione chimica (definizione e tipologie)
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Soluzione chimica (definizione e tipologie)
In Chimica, si definisce soluzione una miscela omogenea di due o più elementi o composti chimici, in cui si distinguono principalmente due tipologie di componenti: solvente e soluto; il solvente è il componente in cui viene disciolto il soluto, e generalmente è quello presente in quantità maggiore.
Quando, in una soluzione, un soluto è presente con atomi, ioni o molecole di dimensioni particolarmente piccole si parla di soluzione vera. Altrimenti, quando le dimensioni delle particelle del soluto risultano comprese tra 1 e 1000 nm, si parla di soluzione falsa, o dispersione colloidale. In una soluzione vera il soluto è disperso nel solvente a livello di singole molecole o ioni, ciascuno di essi circondato da molecole di solvente (si parla più precisamente di solvatazione).
Affinché si possa confutare la definizione di soluzione è necessario che le particelle siano uniformemente disperse e le loro dimensioni non superino l’ordine di grandezza molecolare. Tali soluzioni sono spesso dette vere per distinguerle dalle soluzioni colloidali nelle quali si hanno particelle enormemente più grandi delle comuni molecole (colloidi).
La caratteristica essenziale delle soluzioni è costituita dal variare continuo delle proprietà al variare delle proporzioni fra gli elementi che le compongono entro limiti più o meno ampi, ma definiti. Considerando i tre stati di aggregazione della materia (solido, liquido, gassoso) possono prodursi soluzioni fra due elementi che si trovino in uno qualsiasi di tali stati:
- soluzioni gassose: come nel caso di tutte le miscele gassose i gas sono miscibili fra loro in ogni rapporto e danno luogo a sistemi omogenei, cioè a soluzioni i cui componenti possono essere separati anche per mezzo di liquidi che li disciolgano selettivamente oppure mediante diffusione termica o circolazione forzata attraverso membrane o setti porosi;
- soluzioni solide (vedi approfondimento di seguito): possono formarsi fra sostanze capaci di dare cristalli misti, cioè isomorfe, caso assai comune nel mondo minerale, specie fra i silicati. La composizione di tali sistemi è variabile in modo continuo, sia pure entro limiti solitamente ristretti. Vere e proprie soluzioni solide sono le leghe in quanto miscele omogenee di due o più metalli, di metalli con altri elementi o con composti inter-metallici. Le leghe si ottengono allo stato fuso, ma si possono realizzare anche diffusioni fra solidi, per esempio quella del carbonio nel ferro (cementazione).
- soluzioni liquide: qui si possono distinguere le soluzioni solido-liquido e le soluzioni liquido-liquido; in quelle solido-liquido è il solido il soluto ed il liquido il solvente, mentre in quelle liquido-liquido il soluto liquido per potersi sciogliere deve avere affinità con il solvente, infatti, come si suol dire «il simile scioglie il suo simile»: un soluto polare si scioglie in un solvente polare, mentre un soluto non polare si scioglie in un soluto non polare. Alcuni liquidi sono completamente miscibili a tutte le proporzioni, come ad esempio l’etanolo in acqua (entrambi polari) o il benzene con l’olio (entrambi apolari), altri solo in parte, come l’acqua e l’etere e altri ancora sono completamente immiscibili, come l’acqua nell’olio.
Per lo studio di una soluzione, sono necessarie almeno due informazioni: per prima cosa è utile conoscere la composizione qualitativa della soluzione, ossia ci serve sapere quali componenti chimici sono presenti, seconda cosa, serve conoscere la composizione quantitativa della soluzione, ossia dobbiamo conoscere la quantità o “concentrazione” di ciascun componente nella soluzione.
Le soluzioni di un solido in un liquido sono sempre possibili, a condizione di scegliere opportunamente la sostanza liquida solvente; in tal caso la soluzione avrà un volume normalmente minore della somma dei volumi componenti e comporterà sia un lavoro di disgregazione molecolare che un conseguente abbassamento della temperatura: per consumo di calore di soluzione (necessario per il cambiamento di stato del solido) e di calore di diluizione (per il trasporto delle molecole disgregate nel liquido). Il rapporto fra la quantità di soluto e la quantità di solvente (o di soluzione) è detto concentrazione della soluzione e si può esprimere in vari modi.
La quantità massima di una sostanza che può sciogliersi in una data quantità di solvente ad una determinata temperatura è detta solubilità di quella sostanza in quel solvente a quella temperatura e una soluzione che contenga questa quantità massima è detta satura.
È possibile affermare, dunque, che così come ogni liquido possiede per un certo valore della temperatura, una propria tensione di vapore alla quale si oppone la pressione esterna, così ogni sostanza ha, per un dato solvente, una certa tensione di soluzione, che è funzione della temperatura, cui si oppone la pressione osmotica (osmosi); quando la tensione di soluzione e pressione osmotica si uguagliano, la soluzione diviene satura, ossia si è stabilito un equilibrio dinamico per cui tante quante sono le particelle di soluto che si disperdono, tante sono quelle che si ridepositano. Pertanto, come si dice saturo un vapore in presenza del suo liquido, così è satura la soluzione di un solido in un liquido quando una parte del soluto è presente indisciolta, come corpo di fondo.
Le variazioni di solubilità in funzione della temperatura sono rappresentabili, per ciascuna sostanza in un dato solvente, da curve di solubilità. Poiché la soluzione di una sostanza in un solvente è accompagnata da variazioni termiche, si può prevedere se la solubilità aumenta o diminuisce con la temperatura: essa aumenta per le sostanze che si disciolgono con assorbimento di calore, diminuisce per quelle che si disciolgono con la sviluppo di calore. Nelle miscele di liquidi, quando la solubilità è limitata (per esempio caso dell’acqua ed etere) si formano due strati costituiti da soluzioni reciprocamente sature (etere in acqua, più pesante, e acqua in etere, più leggera). I gas di sciolgono nei liquidi con sviluppo di calore, perciò la loro solubilità aumenta con il diminuire della temperatura, oltre che con l’aumentare della pressione (legge di Henry).
La soluzione di una sostanza cristallina può essere portata, per cauta evaporazione del solvente, a una concentrazione più elevata rispetto al livello di saturazione: si ottengono così soluzioni sovra-sature, instabili, dalle quali, per semplice agitazione per aggiunta di un piccolo frammento (germe) di soluto, si separa la parte disciolta in eccesso.
Dal punto di vista fisico, oltre alla temperatura sulla solubilità di una sostanza influiscono altri fattori, in particolare il tipo e l’intensità delle forze che interagiscono tra le particelle di solvente e di soluto; nello studio del fenomeno, le particelle che si considerano possono essere molecole (nelle quali sia presente, o no, un dipolo elettrico), ioni e atomi metallici.
In generale si può dire che la solubilità è elevata quando le proprietà elettriche delle molecole di solvente e di soluto sono simili; per esempio l’acqua, sostanza polare, è un buon solvente di sostanze polari e di composti ionici, come i sali, in quanto si stabiliscono interazioni elettrostatiche fra i dipoli rappresentati dalle molecole d’acqua e le molecole oppure gli ioni del soluto, con formazione di solvati.
Per le sostanze non polari, come per esempio gli idrocarburi, miscibili fra loro in ogni rapporto, la solubilità è dovuta ad interazioni quanto-meccaniche fra i sistemi elettronici delle molecole (forze di London); tali interazioni non dipendono dalla temperatura, ma dal numero e dalla mobilità degli elettroni delle singole molecole.
Una soluzione molto diluita, nella quale le interazioni fra molecole di soluto e molecole di solvente si possono trascurare, si dice soluzione ideale; in tal caso si ammette che il mescolarsi delle molecole di soluto e di solvente avvenga senza cambiamenti di volume e di contenuto termico.
Per le soluzioni ideali valgono le cosiddette proprietà colligative, che non dipendono dalla natura del soluto, ma solo dal numero delle particelle presenti nella soluzione. Una di queste proprietà e la pressione osmotica per la quale vale la legge di Van’t Hoff. Questa riprende il principio di Avogadro, enunciato per i gas ideali: volumi uguali di soluzione, in condizioni uguali di temperatura e di pressione osmotica, contengono un ugual numero di molecole.
In base a questa legge, πV = nRT, è simile all’equazione di stato dei gas ideali: PV = nRT, si possono anche determinare i pesi molecolari dei soluti. Infatti la reazione g/PM esprime il numero delle moli del soluto non dissociabile, e quindi il peso molecolare PM si può calcolare dalla relazione:
\[\textrm{PM}=\dfrac{gRT}{\pi V}\]
In realtà le equazioni che descrivono i sistemi in soluzione dovrebbero riferirsi più propriamente alle attività che alla concentrazione dei soluti. Il termine attività si riferisce non tanto alla specie del soluto, ioni o molecole, presenti in soluzione, quanto alle specie attive del soluto, cioè quelle che generano l’effetto che si può misurare sperimentalmente.
La relazione tra attività a e concentrazione c del soluto è data da a = αc, dove α è il coefficiente di attività, che è uguale a 1 solo per concentrazione minori di 0,01 M. Questo significa che le soluzioni con coefficiente di attività unitario hanno comportamento prossimo a quelle ideali. Le soluzioni reali vengono studiate applicando le leggi valide per le soluzioni ideali e confrontando i risultati con i valori ottenuti per mezzo di misure sperimentali delle proprietà colligative.