Le combustioni sono, per la maggior parte, ossidazioni veloci con rapido e vistoso aumento della temperatura. Inoltre i prodotti di reazione (e in certi casi anche i reagenti) sono, di solito, dei gas in espansione. L’aumento di temperatura provocato dalla reazione chimica, modifica le condizioni di scambio di energia con l’ambiente. In generale il sistema cede energia per irraggiamento (luce e radiazione infrarossa), per contatto e conduzione (calore), per espansione (lavoro).
Per esempio l’uso di fiamme, torce, candele e gas illuminante è stato l’unico mezzo per ottenere luce artificiale fino all’Ottocento. L’uso del fuoco per riscaldare ambienti, cuocere terraglie e cibi fa parte di un’esperienza quotidiana antichissima tuttora molto diffusa; per quanto riguarda l’uso di combustioni per ottenere lavoro, ben prima dell’invenzione della macchina a vapore, le artiglierie costituirono delle macchine nelle quali, per combustione, l’energia chimica degli esplosivi si trasforma, tramite lavoro compiuto dai gas di combustione nella canna della bocca da fuoco, in energia cinetica del proiettile.
Una caratteristica importante delle combustioni è costituita dal fatto che per dare inizio ad ogni combustione è necessario provocare un aumento della temperatura del sistema dei reagenti. Questo perché per ogni combustibile c’è una temperatura, detta temperatura di accensione, al di sotto della quale la combustione non inizia. Solo quando la temperatura diventa più alta della temperatura di accensione, sia pure nella piccola zona riscaldata dalla primitiva sorgente esterna di calore, le zone circostanti del combustibile possono reagire aumentando la loro temperatura: ciò provoca la reazione delle zone vicine e il processo può continuare fino a quando si esaurisce il combustibile o l’ossigeno.
Per raggiungere la temperatura di accensione si possono usare vari sistemi. Nella sua apparente semplicità un fiammifero è un sistema complesso, strutturato per utilizzare come processo primario una trasformazione energetica di tipo adiabatico, in grado di avviare una catena di accensioni a soglie di temperatura via via più elevate. È costituito, infatti, come ben si sa, da un’asticciola di legno (o di altro materiale infiammabile come fili di cotone o carta paraffinati: i cerini) rivestita a un’estremità da una capocchia costituita da varie sostanze combustibili (solfuro di fosforo, sostanze ossidanti, ecc.) caratterizzate da una temperatura di accensione di circa 80°C. In molti tipi, tra la capocchia e il legno, è disposto un rivestimento di paraffina. La temperatura di accensione della paraffina è intorno ai 150°C. La temperatura di accensione del legno è di circa 800 °C. Per sfregamento su una superficie ruvida, una piccolissima porzione della superficie della capocchia raggiunge e supera la temperatura di accensione della miscela di cui la capocchia stessa è costituita. (L’energia primaria è dunque il lavoro compiuto durante lo sfregamento). A partire dalla piccola zona di innesco tutto il materiale della capocchia reagisce portando la propria temperatura e quella della paraffina oltre la temperatura di accensione di quest’ultima. La combustione della paraffina porta l’estremità dell’asticciola a oltre 800 °C, quanto basta per innescare la combustione che si propaga al resto del legno.
La rapidità con la quale la combustione si propaga dalla zona di “innesco” a tutta la massa del combustibile varia a seconda del tipo di combustibile e da come l’ossigeno può venire a contatto con sempre nuovo combustibile a partire dalla superficie. Per esempio, per un grosso pezzo di carbone il rapporto tra la superficie di contatto con l’ossigeno dell’aria e il volume del combustibile in grado di accendersi è piuttosto piccolo. Ma se il carbone viene finemente polverizzato ed è ben miscelato con la giusta quantità di ossigeno (o di aria) la combustione si sviluppa molto rapidamente perché in tal caso è molto maggiore il rapporto superficie/volume.
Da questo punto di vista, le miscele di combustibili gassosi e di ossigeno (o aria) in giusta quantità sono tra i sistemi nei quali la combustione assume le caratteristiche di una reazione a catena e può propagarsi con straordinaria rapidità. Per questo motivo se l’ossigeno e un gas combustibile (per esempio metano) si raccolgono in una certa quantità in un ambiente chiuso, possono dar luogo a vere e proprie esplosioni con effetti disastrosi.
La rapidità di combustione tuttavia consente di realizzare reazioni controllate che si sviluppano in modo stazionario usando dei flussi dei due gas. È ciò che si realizza, per esempio, in un bruciatore di un fornello da cucina: una certa quantità al secondo di metano viene fatta affluire al centro del bruciatore; con vari sistemi sui quali sorvoliamo, una corrispondente quantità di aria (quindi di ossigeno) si mescola per ogni secondo con il metano. Una scintilla (o un fiammifero) innescano la combustione che continua a valle del bruciatore con sviluppo di fiamma. Il metano proviene dalla rete di distribuzione, che può essere considerata un serbatoio con capacità infinita; l’ossigeno o l’aria sono forniti direttamente dall’atmosfera. I prodotti di reazione si disperdono nell’atmosfera. Nella zona di reazione e nel tratto immediatamente a valle la temperatura dei reagenti e dei prodotti è così elevata da provocare l’irraggiamento di luce e di radiazione infrarossa: ossia la fiamma.
La fiamma dunque è costituita da gas resi incandescenti a causa della loro elevata temperatura. Da notare che, trattandosi di gas, essi presentano generalmente uno spettro di emissione discreto, risultante dalla sovrapposizione degli spettri di emissione dei singoli componenti. Nel caso della combustione del metano, si tratta di uno spettro relativamente povero di visibile (la fiamma non è molto luminosa) dal colore azzurro.
Altri gas danno fiamma ricca di radiazioni visibili, come per esempio l’acetilene, usata nell’Ottocento per illuminare.
La fiamma di una candela, per esempio, è costituita principalmente dai prodotti della combustione di idrocarburi gassosi derivati dall’evaporazione della paraffina.
La temperatura dei gas che costituiscono la fiamma raggiunge i valori più elevati nella zona più esterna, il “mantello”, dove si attiva la reazione di combustione con l’ossigeno dell’aria. All’interno c’è un cono di gas relativamente freddi perché, a causa della scarsità di ossigeno, i processi di combustione sono limitati. La differenza di temperatura tra le due zone è dimostrata dal fatto che un sottile filo di ferro immerso nella fiamma si arroventa solo nelle zone del mantello.
La luminosità della fiamma di una candela (come quella di fiamme prodotte bruciando un pezzo di legno) dipende dalla presenza di particelle solide incandescenti (che producono quindi uno spettro continuo). Si tratta generalmente di carbone proveniente dallo stoppino o dal legno. Se la fiamma lambisce superfici fredde che fanno cessare localmente la combustione, queste particelle formano il cosiddetto “nerofumo”. L’ossigeno per la combustione è continuamente rinnovato dalla convezione dell’aria attorno alla fiamma, messa in moto dalla colonna di gas ascendenti che costituisce e sovrasta la fiamma stessa. Se nell’ambiente non ci sono correnti d’aria e la combustione avviene in una zona di piccolo volume, come per una candela, nel flusso convettivo si instaura un regime stazionario cui si deve sia la particolare regolarità con la quale una candela può bruciare, sia la stabilità della fiamma che ci appare “ferma”. Se la zona di combustione è estesa (come per i pezzi di legno in un camino) il regime stazionario della convezione non può instaurarsi e la fiamma assume la caratteristica mutevolezza di forma e di estensione.